Le povertà invisibili: le vittime del caporalato

Nicoletta Teodosi (presidente Cilap) in conclusione dei lavori: “Abbiamo deciso di occuparci di caporalato e lavoro sommerso perché i lavoratori che ne sono vittime sono invisibili alle istituzioni come le persone in povertà. Nonostante la riforma del lavoro le difficoltà restano, soprattutto per quanto riguarda i bassi salari, le disuguaglianze tra lavoratori, le delusioni dei giovani rispetto al proprio presente”.
L’esperienza di una giovane.

Roma, 3 ottobre 2016 – «Abbiamo deciso di occuparci di caporalato e lavoro sommerso perché i lavoratori che ne sono vittime sono invisibili alle istituzioni come le persone in povertà. Sono saltati i vecchi schemi, laddove ognuno percorreva il proprio binario: oggi si parla sempre più di ‘rete’, anche a livello istituzionale. Non abbiamo raggiunto ancora tale sinergia, ma la stiamo costruendo tutti insieme». Così Nicoletta Teodosi al termine del convegno sulle “Povertà invisibili”, tenutosi a Firenze il 30 settembre, organizzato da Collegamento Italiano Lotta alla Povertà – Cilap – sezione italiana di EAPN, e da Cat cooperativa sociale onlus. “L’obiettivo della giornata – continua Teodosi – è stato quello di raccogliere proposte da presentare all’incontro di Bruxelles dell’15-16 novembre, da tradurre poi

in progetti europei trasferibili a livello nazionale. Abbiamo deciso di occuparci di caporalato e lavoro sommerso perché i lavoratori che ne sono vittime sono invisibili alle istituzioni come le persone in povertà. Si accettano lavori sotto pagati, senza contratti e tutele solo per bisogno. Sono i fatti di cronaca che fanno emergere nell’opinione pubblica i lavori in nero, sottopagati, discriminanti, dove i diritti restano solo sulla carta. I sindacati lo sanno da sempre, è il loro pane quotidiano. E meno male che sono scritti a partire dalla Costituzione, almeno qualcuno può beneficiarne. Non coloro che rientrano tra quelle persone cosiddette “a rischio o in condizioni di povertà”. Il lavoro di rete sta diventando lo strumento attraverso il quale le amministrazioni, i sindacati, le organizzazioni non profit lavorano in sinergia, ciascuno in base alle proprie responsabilità e mandati. E questo non sta avvenendo solo a livello locale, ma anche centrale.

Il Cilap nell’organizzare l’iniziativa ha ricevuto il patrocinio e la presenza del Ministero del Lavoro, della Regione Toscana, del Comune di Firenze, della CGIL – Flai. Per noi è un segnale positivo: iniziative di questo tipo affrontano lo stesso tema da punti di vista diversi, ma sentiti da tutti: adulti, giovani, lavoratori e pensionati, disoccupati, sottopagati.

A Firenze si è parlato di politiche attive, necessarie se il governo non vuole continuare ad erogare solo benefici economici, così come il Parlamento europeo ci dice dal 2008, non da oggi quindi, e prima che esplodesse la grande crisi. La Risoluzione del Parlamento, infatti, parla di inclusione attiva che si basa su tre importanti pilastri: un mercato del lavoro inclusivo, accesso a servizi di qualità, supporto per un reddito adeguato. Da allora sono passati 8 anni. Se dobbiamo basarci su ciò che viviamo e osserviamo, l’esperienza ci dice che nonostante la riforma del lavoro le difficoltà restano soprattutto per quanto riguarda i bassi salari, le disuguaglianze tra lavoratori, le delusioni dei giovani rispetto al proprio presente. I servizi sociali e sanitari sulla carta sono universali, mentre di fatto possono accedervi solo coloro che hanno redditi molto bassi e tempo e salute da spendere, viste le liste d’attesa soprattutto nella sanità. Per quanto riguarda il reddito adeguato, nonostante venga da più voci richiesta una misura nazionale per il reddito minimo adeguato o garantito che sia, il governo ha prodotto al momento il Sostegno per l’inclusione Attiva (SIA), che non è il reddito minimo. Un concetto è stato più volte ripetuto, a conferma che anche le istituzioni hanno capito che da soli nessuno può farcela: lavoro di rete, di cui in
Europa si parla da oltre 30 anni”.

Si alternano le testimonianze. Giuseppe Cappucci, segretario generale di FLAI CGIL di Roma e Lazio, nel suo intervento ha sottolineato che siamo in una fase di rivendicazione, di fronte al negazionismo delle istituzioni. “Il sistema del caporalato è complesso, a volte banalizzato, ma completamente nuovo e inserito nelle maglie della società, spesso attraverso intermediazioni che impediscono di risalire alla cima della piramide gerarchica”.

Antonio Allegrini, dirigente dell’attività ispettiva del Ministero del Lavoro, ha invitato a “rivolgersi con maggior fiducia agli organi competenti in materia, agli ispettori del lavoro: solo in questo modo può essere combattuto il caporalato, con la collaborazione di tutti, per primi i lavoratori stessi che devono denunciare gli abusi. Come nel caso della Rete del lavoro agricolo di qualità, è stata già avviata la riscrittura di alcune norme”.

Sabrina Emilio, della cooperativa CAT e coordinatrice nazionale degli incontri europei delle persone con esperienza di povertà per il Cilap, ha spiegato “il concetto di “invisibilità” legato alla povertà: non è riconoscibile immediatamente la sofferenza procurata alle persone, non è determinabile il danno arrecato allo sviluppo del nostro paese alle fondamenta del patto democratico che coinvolge tutti noi, non è determinabile la ricchezza sottratta al paese. Gli indicatori dello sfruttamento lavorativo, lavoro sommerso e caporalato, si individuano ormai
con facilità nell’erogazione parziale e/o differita del lavoro, la retribuzione sotto gli standard, il mancato pagamento dei contributi, l’organizzazione del lavoro sfavorevole al lavoratore, le irregolarità contrattuali, la discriminazione razziale e sindacale.

Molti i giovani presenti, intervenuti contro lo sfruttamento che sono costretti a subire a causa di condizioni di vita sfavorevoli, che spingono ad accettare anche ciò che va contro i diritti e la dignità dei lavoratori. «La povertà non è più solo economica, è culturale; siamo tornati al dopoguerra», rincara Sandro Meli, presidente di CAT cooperativa sociale onlus, «non basta risolvere i problemi che riguardano la casa e il lavoro, bisogna creare condizioni favorevoli per aiutare le persone a essere più felici, partendo dai più deboli ed emarginati».

Grande partecipazione ha caratterizzato anche la seconda parte della giornata, dedicata a un esercizio di Teatro Forum, coordinato da Sabrina Emilio e Francesco Ridolfi della cooperativa CAT. Tramite il Teatro dell’Oppresso, molti presenti, soprattutto giovani, hanno trovato il modo di interrogarsi sugli aspetti più quotidiani dello sfruttamento lavorativo e alimentare il dibattito con nuove sollecitazioni e proposte.
Nelle conclusioni, Rocco Mangiavillano, del direttivo Cilap Italia e Capodarco di Roma, ha ribadito la «mancanza di un approccio che veda tutti i piani correlati in un sistema più ampio; il lavoro nero crea crisi anche per la concorrenza delle imprese sane. Manca una visione d’insieme, e in questo caso il sistema della rete diventa fondamentale: ciascun attore può dare il suo contributo, soprattutto il Terzo Settore, che ha le sue
responsabilità e si deve rimettere in gioco con autorevolezza, deve diventare protagonista insieme ai servizi, ai centri per l’impiego, alle regioni. La mancanza di accesso alle opportunità diventa una partita determinante».

Una giovane presente all’incontro, E., ha denunciato: “Lavoro attualmente a voucher per 2 ore (15 euro) e il resto delle ore a nero. Quando ho chiesto il permesso di assentarmi alla signora padrona della sala ricevimenti, mi ha chiesto perché. Io le ho spiegato che andavo ad un incontro sul lavoro sommerso e caporalato, in cui raccoglievano testimonianze che poi avrebbero inviato a Bruxelles. Il problema è molto più grosso di quello che immaginano, non ho sentito da loro la determinatezza e volontà di risolvere il problema, cosa che invece ho sentito dalle persone partecipanti. Durante il convegno mi sono sentita male, mi è venuto mal di testa, sono rimasta delusa, pensavo che i politici e il ministero avrebbero detto cose più rassicuranti, speravo di poter ricevere qualche speranza. L’unica possibilità che abbiamo è che solo chi vive le condizioni di povertà può dare la soluzione ai suoi problemi, che di riflesso sono i problemi di tutti gli altri.  Io, per prima, mi sento visibile, ma non guardata. L’invisibilità, a mio parere, è solo un modo per conferire un aspetto drammatico ad una realtà che, semplicemente, è circondata da disinteresse da parte di istituzioni e non solo. Se fossimo invisibili, probabilmente, ci sentiremmo più protetti, non esisteremmo e basta, invece esistiamo e viviamo un’esistenza priva di diritti, carica di doveri, doveri che non vengono contraccambiati con il giusto valore, doveri che imponiamo a noi stessi per sopravvivere, spesso per necessità”.

Foto di Francesca Emilio
Ufficio Stampa Cilap, Nicola Perrone, M 329.0810937,
nicolaperrone58@gmail.com – www.cilap.eu

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