Reddito di inclusione: come fare, pregi e limiti

di Nicoletta Teodosi Presidente Cilap Eapn Italia

A volte bisogna accontentarsi. Il fatto è che sono sempre i poveri a doverlo fare.
Approvato in via definitiva anche dal Governo il Reddito di inclusione (REI). Dal 1/1/2018 sarà strutturale una misura di contrasto alla povertà che dovrebbe coinvolgere circa 1 milione 800 mila persone di cui 700 mila minori in povertà.
Rispetto all’obiettivo stabilito nel Programma di Riforma Nazionale del 2011 a valere sulla Strategia Europa 2020, siamo sotto di 400 mila unità e al 2020 mancano poco più di due anni.
Cosa è il REI e da dove viene è bene ricordarlo, anche se molti dei nostri lettori sanno già di cosa si tratta: è una misura di contrasto alla povertà che segue quanto stabilito nella legge di Stabilità del 2015, con la quale veniva istituito sostanzialmente un fondo nazionale non limitato ad un solo anno, ma come si dice “strutturale”. Nel 2016 è stato lanciato il Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA), quale strumento per l’erogazione di benefici economici e finanziato con risorse nazionali (inizialmente di 700 mila euro fino ad arrivare al miliardo e 700 mila di oggi). Per la sua implementazione la Commissione europea ha approvato, in sede di Accordo di Partenariato 2014-2020, il Piano operativo nazionale per l’inclusione 2014-2020 il cui 40% è destinato ai territori. 
Due, quindi, sono gli assi su cui la misura di contrasto alla povertà si muove: il beneficio economico di sostegno al reddito familiare e

un percorso di inclusione attiva sotto la regia degli ambiti sociali. Per il rafforzamento dei servizi sociali sono messi a disposizione, con fondi comunitari, circa 500 milioni per il periodo 2016-2019 e altrettanti fino al 2022. 596 gli ambiti sociali che riceveranno dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, risorse finanziarie con le quali potranno aumentare le piante organiche, visto che sono fondi comunitari e non rientrano nel blocco delle assunzioni del pubblico impiego e rafforzare i servizi educativi o di inserimento lavorativo attraverso tirocini. 
Pur rimanendo l’impianto del SIA, alcune novità il REI le porta: l’ISEE raddoppia, passando da 3000 a 6000 euro e tra i beneficiari rientrano anche i disoccupati purché con età superiore a 50 anni. Inoltre chi è già beneficiario del SIA potrà esserlo anche del REI. 
Ai Comuni, costituiti in ambiti sociali, spetta la regia della costruzione e del rafforzamento del sistema integrato che non nasce oggi, ma da quando è stata varata la legge 328, nel 2000, quella che ha istituito dopo oltre 110 anni il sistema integrato socio-assistenziale. 
Da chi è, o dovrebbe essere, composto il sistema integrato? Oltre che dai comuni stessi, dalle ASL (per quanto riguarda la salute), dai centri per l’impiego, dalle scuole di ogni ordine e grado, dal volontariato per l’impegno civico e sociale che gli è proprio, dalle imprese sociali non profit per gli inserimenti lavorativi di persone svantaggiate (tra cui molti i beneficiari del SIA/REI), dalle imprese profit per la creazione di posti di lavoro, dai sindacati per la tutela del diritto al lavoro.
Il lavoro tecnico dovrebbe essere affidato a programmatori sociali, adeguatamente formati e con esperienza svolta nei Piani di Zona (328), perché come si evince: né il SIA né il suo erede REI sono di facile attuazione.
Sto leggendo che molte persone faranno domanda a partire dal 1/1/2018: se hanno i requisiti per il SIA possono già fare richiesta di questa misura e rivolgersi ai servizi sociali del comune di residenza. Attenzione però, è meglio mantenere basse le aspettative. I controlli per il beneficio economico li effettua l’INPS che ha delle procedure estremamente rigide e i tempi di attesa sono lunghi.
L’attivazione del percorso di inclusione attiva con i centri per l’impiego non è scorrevole per la scarsa efficienza del sistema: dalle risorse umane messe a disposizione (gli orientatori) che variano da regione a regione, alle nuove modalità operative messe in atto proprio attraverso il SIA, che per la prima volta ha ampliato la partecipazione alla governance sociale a tutti gli attori istituzionali che operano su un dato territorio (politica e manageriale).
Certo, il REI non è quello che auspicavamo, restano fuori i giovani e gli adulti soli senza figli che dovranno provvedere da sé o ricorrere ai familiari e ai Comuni che avranno risorse in più per coloro che non rientrano né nel SIA né rientreranno nel REI. Comunque, come detto in altre occasioni “meglio di niente” e purché il sistema Italia possa rimettere insieme i tanti pezzi di coccio di cui è composto, a partire dal sociale.
Resta il fatto che la fragilità dei genitori si ripercuote sui figli e se il sistema integrato territoriale non funziona i minori ereditano le debolezze degli adulti due volte: quelle dei genitori e quelle del sistema.
Infine, non si pensi che tutto ciò nasce oggi: è piuttosto frutto di oltre 20 anni di lavoro europeo e nazionale svolto a livello istituzionale (questo va riconosciuto) e delle tante organizzazioni non profit che hanno lavorato in silenzio, anche questo va riconosciuto.

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