Nicoletta Teodosi, presidente CILAP, intervistata da Orticalab: «Il reddito minimo deve essere un diritto di tutti, il nostro è un Paese a forte disuguaglianza»

Riportiamo di seguito l’articolo (www.orticalab.it)

Per comprendere quali siano gli strumenti di contrasto alla povertà più efficaci in questo tempo di crisi sanitaria ed economica, ci siamo confrontati con Nicoletta Teodosi: presidente del Collegamento Italiano Lotta alla Povertà – sezione italiana della rete europea EAPN – e membro della delegazione FEAD Network: «Bene rispondere con misure straordinarie qui ed ora, ma se vogliamo intervenire nel lungo periodo dobbiamo farlo con uno sguardo ampio, altrimenti assolviamo ad un compito emergenziale e alla fine resteranno gli stessi problemi»

All’emergenza sanitaria da Coronavirus segue quella alimentare. Due crisi connesse che hanno imposto misure straordinarie per proteggere e sostenere le persone. E proprio per questo il Presidente del Consiglio – Giuseppe Conte – ha predisposto il trasferimento di 4,3 miliardi di euro ai Comuni. In più ci sono anche 400 milioni che saranno destinati ai cittadini in difficoltà economica. Sostegno al reddito, buoni spesa, fondi di solidarietà comunale e un necessario lavoro di rete da portare avanti tra enti pubblici, servizi sociali e terzo settore per raggiungere un obiettivo comune: l’inclusione.

Per orientarci e comprendere quali siano gli strumenti di contrasto alla povertà più efficaci, ci siamo confrontati con Nicoletta Teodosi: presidente Cilap Eapn Italia – Rete Europea di Lotta alla Povertà, di cui Cilap è la sezione italiana – e membro della delegazione FEAD Network (Fondo Aiuti Europei agli Indigenti).

Come Collegamento Italiano di Lotta alla Povertà , siete direttamente coinvolti nelle azioni per e con le persone in povertà, qual è la vostra idea rispetto alle conseguenze sociali che questa emergenza sanitaria avrà?

«Tutti, senza distinzione di sesso, cultura, condizioni economiche, lavoratori, disoccupati, ricchi e poveri, ne siamo toccati, chi direttamente dal punto di vista sanitario, chi direttamente perché in isolamento forzato per proteggere noi stessi e gli altri. Dal punto di vista sociale, chi sta peggio, ancora una volta, sono i lavoratori di serie B: ossia tutti coloro che non hanno le tutele previste per i lavoratori di serie A. Me ne guardo bene dal fomentare una lotta tra lavoratori. Milioni di lavoratori hanno conquistato le tutele e i diritti attraverso battaglie dure. Ma il mercato del lavoro negli ultimi 25 o 30 anni è peggiorato: ha creato lavori precari, sottopagati, con decine di tipologie contrattuali che hanno reso i lavoratori deboli nel rivendicare diritti fondamentali che non hanno, e fragili nelle garanzie e sicurezze. E quali sono le conseguenze sociali di un mercato del lavoro e di legislazioni sfavorevoli ai nuovi lavori che si sono aperti nell’era globalizzata?»

Prego, ci spieghi…

«Insicurezza personale, difficoltà nel costruire un futuro. Faccio un esempio concreto, di vita vissuta da molti operatori sociali. Nei primi anni ’90 il settore sociale era in espansione, ma le cooperative non potevano assumere a tempo determinato se non per maternità. Se l’estate avevano più lavoro perché c’erano i “punti verdi” per anziani, disabili e minori, non si potevano assumere operatori per il periodo necessario. Si potevano avviare solo collaborazioni occasionali (la famosa ritenuta d’acconto) che però non garantiva né il lavoratore, né la cooperativa. Quando fu emanato il cosiddetto “pacchetto Treu” – era il 1993 circa – lo vedemmo come una opportunità per assumere anche se a tempo determinato. E questo fu un bene. Poi però le tipologie contrattuali sono aumentate, fino ad arrivare alle partite IVA – con un solo committente – ai contratti di collaborazione negli enti locali e così via. Sempre peggio, fino ad arrivare ad oggi, con la situazione che abbiamo davanti e di cui molti di noi sono “vittime” consapevoli».

La paura si sta trasformando in rabbia, l’isolamento va avanti, ma senza reddito sono scarse le possibilità di accedere anche ai beni primari, come valuta le azioni messe in campo?

«In tanti anni di lavoro con e per le persone in povertà, anche assoluta, non abbiamo mai vissuto con loro manifestazioni di rabbia, né in Italia né in Europa. Un senza dimora, una persona che vive nei campi, non reagisce con rabbia. Non ne ha la forza, è abituata ad accontentarsi di ciò che riesce a rimediare. Non ha niente da perdere, perché mai ha avuto qualcosa. Invece, la crisi di questi anni che si è trascinata l’economia reale, ha ridotto allo stremo il ceto medio basso, quello che negli anni, dal boom economico in poi, era riuscito a salire di un gradino la scala sociale. Credo sia questa parte della popolazione, che sta reagendo con rabbia. E voglio sperare che quelli a cui assistiamo, siano episodi spontanei e non manipolati da qualche interesse pericoloso come sembra stia accadendo.

E’ ipotizzabile secondo lei una spesa di cittadinanza coinvolgendo il FEAD?

«Il Fead è una importante misura europea che non copre però tutto il fabbisogno di generi alimentari e di prima necessità di chi è in povertà estrema. A questo si aggiungono le collette mensili delle organizzazioni di volontariato che localmente si accordano con i supermercati. È necessario dire però che il Fead è solo un “pezzo” degli interventi in favore delle persone in povertà cui vanno aggiunti i Piani operativi nazionali per la scuola (implementazione di mense scolastiche), il Piano operativo per i senza dimora nelle città metropolitane e il Piano operativo nazionale per il rafforzamento dei servizi sociali. Se vogliamo ragionare su come affrontare e ridurre la povertà dobbiamo parlare in una logica di sistema, come utilizzare i fondi (europei, nazionali e regionali), da chi devono essere gestiti, a chi devono arrivare i servizi e i finanziamenti previsti, in che tempi. Il Fead è una parte di un tutto più ampio. Ragionare in termini di “spesa di cittadinanza” va bene se pensiamo al qui e ora, ma se vogliamo intervenire su come ridurre la povertà nel lungo periodo dobbiamo farlo con uno sguardo 180 gradi, perché altrimenti rispondiamo solo alle emergenze e quando queste sono finite, rimangono tutti i problemi».

Si ragiona rispetto alla proposta di un reddito di quarantena e si lavora per l’estensione del reddito di cittadinanza, qual è la vostra posizione in merito?

«Credo sia una risposta dovuta all’emergenza: oggi c’è un problema e rispondo a questo. Come Rete europea noi diciamo che il Reddito minimo adeguato deve essere un diritto sociale riconosciuto a tutti coloro che in un determinato periodo della loro vita non sono in grado di lavorare o di provvedere a se stessi e al proprio nucleo familiare. Con la strategia Europa 2020 il Consiglio dell’UE aveva stabilito che 20 milioni di persone in Europa sarebbero dovute uscire dalla condizione di povertà. In Italia 2 milioni e 200 mila persone. Ci stavamo pian piano avvicinando a questo obiettivo. Questa crisi sanitaria ci ha allontanato dall’obiettivo europeo e italiano. Quindi nella strategia post Europa-2020 è necessario che sia sviluppata una Direttiva europea sul reddito minimo vincolante per tutti gli Stati membri. Nel Pilastro europeo dei Diritti Sociali del 2017, il reddito minimo è uno dei 20 principi riconosciuti. Noi lavoriamo per questo, per una misura europea, certo partiamo dalle legislazioni nazionali, come quella italiana con il Reddito di Cittadinanza che a nostro avviso ha troppe condizionalità, troppe imposizioni richieste alle persone in povertà. Ma come abbiamo detto anche in altre circostanze: anche un solo centesimo nelle tasche di chi non ce l’ha non lo si rifiuta, ma il centesimo è troppo poco per vivere una vita dignitosa».

Immagina che da questa crisi usciremo con disuguaglianze ancora più nette ed evidenti tra la popolazione?  

«Si, ne sono certa. Questo è un Paese a forte disuguaglianza: tra nord e sud, tra chi lavora e chi no, tra dove si lavora, tra chi ha accesso ai servizi perché vive in un territorio che ne è fornito, chi vive in aree urbanizzate, chi in aree periferiche. Come dicevo, tra gli italiani ci sono cittadini di serie A e di serie B, per tanti motivi. Personalmente non so è sufficiente dire: ciascuno deve e dovrà fare la propria parte, mi sembra anche in questo caso di assolvere ad un compito emergenziale. Preferirei che si dicesse: a ognuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo le proprie possibilità, come diceva qualcuno (Marx, ndr). E costruire così il futuro del nostro Paese».

Immagine in copertina dal flashmob per il Reddito di Quarantena, dal profilo di Roberto – Buglione – De Filippis

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