Riflessioni ed osservazioni sul PON e le iniziative europee per l’inclusione sociale ed il contrasto alla povertà

(di Luigi Colombini) – Nel corso di vari decenni, uno degli obiettivi dell’UE è stato quello di promuovere azioni specifiche volte a favorire l’inclusione sociale e la lotta alla povertà negli Stati membri – anche nell’osservanza della Carta sociale europea e del Trattato di Nizza. Avuto riguardo all’esperienza portata avanti, e desumibile delle Direttive europee e degli atti conseguenti degli Stati e delle Regioni, si rappresentano di seguito alcune riflessioni.

Il coordinamento dei vari interventi per la lotta alla povertà

Nell’attuale contesto italiano, vi sono vari strumenti di lotta alla povertà che non sono solo quelli indicati negli avvisi europei. A fronte delle ricorrenti crisi produttive, esiste la Cassa Integrazione Guadagni, che consente ai lavoratori in condizioni di inoccupabilità lavorativa a causa delle crisi aziendali, di fruire di un assegno mensile di assistenza per tutto il periodo di inattività, per poi rientrare nel sistema produttivo. A livello comunale esiste la possibilità di impiego di svolgere lavori socialmente utili da parte di lavoratori non occupati. Alcuni comuni hanno inventato la figura degli ausiliari del traffico, che consente l’impiego di lavoratori inoccupati. Il SIA, il REI, ed infine il Reddito di Cittadinanza hanno a loro volta allargato la platea dei cosiddetti beneficiari, sulla base di un provvedimento, su domanda, dei CPI e seguiti dai servizi sociali dei comuni, per i casi complessi. È stato altresì istituito a seguito dell’epidemia COVID 19 il reddito di emergenza. La pensione di invalidità (giudicata iniqua nella sua entità e necessitante di un adeguato finanziamento dalla Corte Costituzionale) rappresenta un ristoro risarcitorio dello Stato nei confronti delle persone con disabilità. La pensione e l’assegno sociale per le persone ultrasessantacinquenni concludono la platea dei destinatari di aiuti economici da parte dello stato. Come già propugnato venti anni or sono dalla legge 328/2000, diventa pertanto necessario ricomporre un quadro organico di interventi di sostegno economico, anche in relazione al previsto assegno unico per le famiglie. A tale riguardo, secondo quanto già verificatosi nel passato, occorre superare l’effetto perverso indotto della “stagnazione assistenziale”, per giungere, invece alla contestuale promozione di interventi di inclusione sociale, sulla base della “cultura” dello scambio: a fronte di un beneficio determinato dalla solidarietà collettiva, corrisponde un impegno personale di contribuire al benessere ed allo sviluppo della comunità, in specifici settori di intervento (servizi ambientali, culturali, sociali, servizi alla persona. In tale contesto è fondamentale il ruolo dei servizi sociali per la definizione dei piani di inclusione.

Azione di indirizzo e coordinamento

L’insieme dei problemi così come si presentano e si sono presentati nella loro dimensione, anche a fronte dell’emergenza COVID 19, richiede una forte azione di indirizzo e coordinamento a livello europeo delle politiche sociali, tale da condurre alla capacità di “sapere” gestire la complessa problematica della variegata crisi sociale ed economica (secondo i principi dell’organizzazione scientifica del lavoro della Pubblica Amministrazione, introdotta da Fayol, condensata nelle tre “P”: prevedere, programmare, provvedere) ed occorre confermare la volontà ed il perseguimento della costruzione dell’Europa sociale, e non solo dell’Europa del mercato che oltretutto, mal regolato, ha portato all’accrescersi delle disparità e delle povertà diffuse, come ampiamente dimostrato dal prof. Piketty. In tale contesto, lo “Stato sociale”, come evidenziato dallo stesso Piketty, va connesso allo “Stato fiscale”, inteso quale asse portante per lo sviluppo ed il potenziamento delle politiche di welfare, e che richiedono, oltre ad una spietata lotta all’evasione, la pretesa da parte dei cittadini contribuenti del cosiddetto “ritorno fiscale”, in termini di giustizia sociale (come già negli anni ’30 veniva propugnato da vari studiosi, fra cui Rawl), per la ridistribuzione della ricchezza ed il superamento delle disuguaglianze, e di offerta di servizi sociali adeguati al pieno soddisfacimento dei bisogni. È un evento confortante che l’attuale Commissaria europea sia Ursula Von Der Leyen, che è stata Ministra della famiglia, delle persone con disabilità, delle donne e della gioventù. In tale contesto occorre definire una “cabina di regia” a livello europeo effettivamente idonea ad affrontare le prevedibili aumentate condizioni di disagio e di povertà, con il superamento di una vetusta prassi burocratica, che, vincolata a rigidi parametri di riferimento, porta da una parte alla adozione di regolamenti, basati sul cofinanziamento e sugli avvisi, dall’altra alla osservanza di patti di stabilità e dall’esclusione di interventi da considerare come aiuto di Stato, e a cui non corrisponde un’ uniforme risposta da parte degli Stati e delle realtà locali, regionali e locali. Occorre ripercorrere le preziose esperienze degli anni trascorsi, quando negli Stati Uniti, con il “new deal” del Presidente Roosevelt, si diede avvio negli anni ’30 a un processo di programmazione e di riorganizzazione economica, iniziato con la TVA, basata sull’ intervento pubblico nell’economia, la amministrazione diretta in ambiti strategici, ed il conseguente svolgimento di significative politiche di intervento sociale (security act nel 1935) e di politiche sociali, attualmente dimenticate. Occorre pertanto rivedere le politiche europee di mercato pieno basato sulla concorrenza, che risalgono al Trattato di Maastricht, e che hanno portato sia alla direttiva Bolkstein, frenata in Francia dalla politica del Presidente della Repubblica Francese Chirac, e che costituisce un potenziale mezzo di arricchimento dei più forti a discapito dei più deboli, sia alla privatizzazione selvaggia di tutto ciò che era possibile privatizzare, dalle banche all’industria, dalle comunicazioni ai servizi, fino a tentazioni simili anche nei beni culturali: la scelta strategica è stata di vedere preminentemente il cittadino europeo solo in quanto consumatore, ed in quanto tale cittadino non più integrato in un quadro di rete e di cultura comune, peraltro acquisita in secoli e secoli di maturazione di valori e di scoperta continua della reale “comunitas” europea, come auspicato dai padri fondatori dell’ Europa come Altiero Spinelli. Occorre rilanciare un Piano Marshall europeo, adeguatamente finanziato, come accadde settanta anni or sono, tale da rilanciare tutto il sistema economico e sociale dell’ Europa, con la assunzione di un DOCUP europeo, che rifacendosi alle precorse esperienze, possa essere in grado di definire un articolato piano di interventi differenziati, avuto riguardo alle diverse situazioni presenti nei vari Stati, sulla base di vincoli ed obblighi da osservare da parte dei singoli Stati.

Affermare l’Europa dei diritti e dei doveri

La costruzione dell’Europa sociale deve essere proseguita in modo tale che ciascun cittadino europeo sia consapevole del proprio diritto di cittadinanza e di appartenenza alla comunità europea, con la garanzia di livelli essenziali per l’esercizio dei diritti civili e sociali, svincolati quindi dalla rigida osservanza del patto di stabilità, garanzia che deve essere assicurata da tutti gli Stati e dalle loro istituzioni regionali e locali, pur nella disponibilità da parte di ciascun cittadino europeo di chiedersi non già cosa fa l’Europa per lui, ma cosa fa lui per l’Europa, parafrasando un celebre discorso del Presidente J.F. Kennedy in occasione del suo insediamento alla Casa Bianca. Gli obiettivi prioritari consistono nell’ approntare politiche di intervento sociale atte a promuovere sia adeguate politiche di tutele (diritto al lavoro, diritto alla salute, della maternità, della paternità, dei bambini, dei giovani, della famiglia), già ampiamente individuate nella Carta Sociale Europea, sia politiche delle opportunità (come tanto tempo addietro ebbe ad affermate Tony Blair, in occasione del semestre inglese di presidenza nella UE, nel 2007, ormai solo un doloroso ricordo), intese sia quali interventi atti a promuovere il superamento di ostacoli, di difficoltà, di disagi di varia natura che in effetti impediscono la promozione della persona, sia come la attitudine a recepire e a sintonizzarsi con la società civile, le sue espressioni e la sua capacità di innovare e di ricercare risposte adeguate e valide all’emergere dei bisogni, e quindi con la messa in opera di azioni positive e “chances” volte a favorire la realizzazione della stessa persona, della famiglia e dei gruppi sociali sul piano occupazionale, lavorativo, sociale, familiare, economico, culturale, come era ampiamente indicato nel citato libro verde dell’Europa – Piano Delors – già nel 1993.

La ricostruzione di un sistema europeo di welfare

Gli ambiti politici degli Stati, nella loro configurazione, devono essere omogenei e comuni in tutti i paesi membri, in modo che a livello europeo si possa disporre di interlocutori attendibili per il perseguimento al livello di coordinamento europeo di politiche sociali. E’ importante che ogni Stato abbia un proprio dicastero del welfare, a cui attribuire complessivamente le politiche del lavoro, della previdenza, della sanità, dei servizi sociali, che nel loro insieme costituiscono il nerbo della costruzione del welfare europeo, che in oltre un secolo di faticose politiche, anche a fronte di crisi economiche cicliche (1974, 1980, 1991, 2008, 2020) caratterizza la stessa civiltà europea, unico modello ancora valido al mondo, e costituisce il quadro fondante delle politiche di protezione e promozione sociale. Occorre individuare politiche di sviluppo comuni che fanno riferimento a misure di sostegno del lavoro, della famiglia, della natalità, dei giovani, della tutela delle fasce deboli, degli anziani, e di programmi organici e verificati di lotta alla povertà, non solo quella assoluta, ma anche la povertà educativa, la povertà, familiare nel suo complesso, la povertà di relazioni. Occorre prevedere l’istituzione di specifici “sottosegretariati” con specifiche attribuzioni (famiglia, minori ed adolescenza, persone con disabilità, condizione femminile, giovani, anziani, persone non autosufficienti) in grado di portare avanti coordinate politiche di intervento, che attualmente non sono omogeneamente presenti nei vari paesi. La promozione di un’azione più incisiva a livello europeo è anche determinata da un preoccupante decremento di natalità e l’invecchiamento della popolazione, che comporterà nel futuro, se non intervengono correttivi, gravi problemi che avranno riflessi negativi sulla economia e sullo sviluppo, producendo una diminuzione del PIL e dei consumi, e l’accrescersi di bisogni e di una domanda volta alla realizzazione di servizi diretti alla persona.

La riconduzione al livello più prossimo del cittadino europeo delle politiche sociali

A fronte della solenne affermazione della Carta Europea delle Autonomie Locali, del 1985, che risale quindi a trentacinque anni or sono, occorre ridefinire al livello locale le modalità di gestione, di programmazione e di verifica delle politiche locali di sviluppo, nel rispetto dei principi della sussidiarietà verticale, che individua nel Comune il livello più prossimo al cittadino. Il modello europeo delle Autonomie locali si basa su cardini fondamentali che di per sé stessi rappresentano il percorso da intraprendere:

  • capacità di autogoverno da parte delle collettività locali;
  • rappresentazione democratica e trasparenza;
  • organizzazione amministrativa adeguata alle esigenze di funzionalità e rispondenza alle richieste della collettività;
  • capacità di finanziamenti adeguati;
  • necessità di interventi statali di perequazione e di riequilibrio per le situazioni di crisi;
  • affermazione del principio della cooperazione e dell’associazionismo fra le collettività locali per il perseguimento degli obiettivi comuni.

Tenuto conto della frammentazione comunale (il 75% dei comuni è al di sotto dei 5.000 abitanti) occorre ridisegnare una rinnovata politica territoriale dei servizi (avviata negli anni ’70 dalle Regioni), basata sull’associazionismo intercomunale, e che in Italia si esprime, secondo quanto disposto dalla legge n. 328/2000, attraverso gli Ambiti sociali intercomunali. In tale contesto, per una programmazione reale dei Programmi europei, occorre confermare e potenziare il ruolo e la funzione dell’Ufficio di Piano, previsto in ciascun ambito-distretto sociale, e confermati nel Piano nazionale sociale. L’Ufficio di Piano, quindi, deve avere una specifica sezione dedicata alla programmazione e gestione degli interventi volti a promuovere l’inclusione sociale, e la lotta alla povertà, secondo le linee già indicate nei regolamenti CEE. Infatti è al livello territoriale che si realizzano gli interventi di sostegno e di sviluppo dei servizi sociali alla persona ed alla comunità, e l’Ufficio di Piano diventa un nodo strategico fondamentale per l’attuazione dei programmi. È a tale livello che va quindi ricondotta la capacità di programmazione e di pianificazione delle politiche di welfare locale, che, in quanto espressione complessiva degli Enti locali associati nell’ambito sociale, attraverso la Conferenza intercomunale dei Sindaci, viene resa operativa dal Piano Sociale di Zona. È quindi a tale livello che va inquadrato il Piano di lotta alla povertà. Pertanto occorre prevedere la costituzione di un adeguato organigramma del personale che è necessario per la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali, che fa riferimento alla logica di team di lavoro specifici, che svolgono le precipue attività, previste negli Avvisi. Occorre superare la logica della temporaneità degli interventi, che è legata a programmi scadenzati nel tempo che prefigurano un quadro di precarietà e di provvisorietà, oltre il quale c’è il nulla, ma predefinire percorsi di inclusione connessi alla logica della continuità e dello sviluppo dei servizi. Il pericolo più evidente è quello di sommare precarietà a precarietà, a cominciare dal primo anello operativo che è costituito dal personale impiegato, a cui va garantita la continuità lavorativa.

La promozione della responsabilità diffusa e la sussidiarietà orizzontale

In tale contesto lo svolgimento di politiche europee per l’inclusione e la lotta alla povertà deve essere caratterizzato da livelli di “responsabilità diffusa”, in cui superando il concetto di “Stato provvidenza” sia preminente il concorso di tutti alla sua costruzione, e quindi, pur nella universalità delle prestazioni, che tutti siano chiamati a parteciparvi ai vari livelli (Stato, regioni, comunità locali, cittadini utenti).È assolutamente importante affermare il principio della sussidiarietà orizzontale, come prevista nella Costituzione, e che riconosce la capacità dei cittadini organizzati a svolgere attività di interesse generale. Infatti, per essere sostenibile, a fronte della accresciuta domanda sociale e di bisogni, lo stesso welfare deve basarsi su un legame assolutamente stretto con la ricchezza prodotta, che si esprime attraverso il PIL, con il valore aggiunto della coesione sociale e della solidarietà. E’ su tale scenario che va a configurarsi il terzo settore, che comunque affianca ma non sostituisce gli interventi ed i servizi svolti dai pubblici poteri, e che va inteso quale servente alle politiche di sviluppo e di organizzazione al livello più prossimo del cittadino dei servizi e degli interventi sociali. È pertanto al livello dell’Ufficio di Piano che deve essere assicurato il coordinamento degli interventi del terzo settore, come peraltro, ad esempio, propugnato dalla Regione Umbria e dalla Regione Lazio, che vanno intesi quali risorse accessorie presenti peraltro non in tutti i territori.

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