Rapporto delle attività del CILAP EAPN ITALIA in preparazione del XIII Incontro europeo delle persone con esperienza in povertà

Una testimonianza

Sono Oreste. Quando leggo sui giornali quei casi sporadici di piccoli geni che vanno via o che restano per amor di patria, sento quell’amaro in bocca di chi sa che in questo paese, ci sono giovani validi, le cui potenzialità vengono sminuite, distrutte e buttate via. Il paese del ” io sono il figlio di, vengo per nome di, conosco quello lì. …” ed io?! Io che sono figlio di una ragioniera e di un operatore ecologico? Se non sono un genio mi devo accontentare?  Quello che manca qui non sono fondi, soldi, progetti… qui manca la considerazione di noi giovani…manca quel guardarci e dire..:”il mio corso si conclude… và figliolo, sei pronto a dare una boccata d aria nuova”. Così non è. ..e allora vediamo il professore che a 70 anni deve essere ancora capace di formare i nuovi ”uomini”…professore che a 70 anni utilizza metodi di valutazione non consoni con l’odierna società.  Vediamo l’usciere al comune che con la quinta elementare aspetta i 65 anni per cedere il passo (mentre comodamente fuma in uffici pubblici o dorme.)…ed io, laureando in sociologia (laureando da un anno ad un esame dalla tesi, con una media del 28, ma il  docente ormai un po’ troppo pieno d’esperienza, mi ritiene  non pronto alla laurea) mi ritrovo a guadagnare saltuariamente 25 euro facendo animazione per bambini…guardandoli con un certo senso di ansia:

ammesso e non concesso potrò permettermi di formare una famiglia (purtroppo sposarsi e avere figli in questo paese é diventato un lusso…). Cosa potrò dare a mio figlio? Cosa gli insegno? Gli dirò :”figlio mio sei intelligente …ma lui è il figlio di…’ Bisognerebbe partire da noi…dalle nostre idee…dal nostro modo di volere un mondo migliore e di avere lo stesso diritto di chiunque sia riuscito (da eroe) a cambiare qualcosa. E questo non lo insegna purtroppo l’università. ..si…perché questo è quello che vede un giovane ventisettenne ogni mattina allo specchio … E non siamo tutti spinello alcolici risse e magagne…molti di noi ancora sognano di poter uscire il sabato sera senza la paghetta della mamma.

Le attività svolte

Il Collegamento italiano di lotta contro la povertà (CILAP EAPN Italia), in occasione del XIII incontro europeo delle persone con esperienza in povertà che si terrà a Bruxelles il prossimo settembre 2014, ha realizzato 5 Incontri

nazionali rivolti a giovani dai 18 ai 35 anni in varie città Italiane e finalizzati a conoscere il punto di vista dei ragazzi in merito a “La partecipazione dei giovani allo sviluppo della comunità”. Centrale, durante le discussioni, la questione finanziaria,, cioè quali risorse sono necessarie e come spenderle in maniera costruttiva.

I giovani interessati agli incontri sono quasi tutti ragazzi/e qualificati, con alle spalle le scuole giuste ma che, non trovando lavoro o lavorando in lavori precari mal pagati e che spesso non rispecchiano le loro qualifiche, si trovano in un “limbo”. Molti di loro sono attivi nel mondo del volontariato ma, malgrado l’età, continuano a vivere in casa. Una realtà che, purtroppo, accumuna un’intera generazione “povera di futuro”.

Sempre nell’ambito della preparazione nazionale all’Incontro europeo, il CILAP EAPN Italia ha inoltre organizzato, il 6 giugno 2014 a Bitonto (Bari), un seminario dal titolo: “Sviluppo armonioso del territorio, rigenerare Comunità Coltivando Saperi”. In questo caso si è trattato di sviscerare, insieme a genitori ed esperti (insegnanti, educatori, assistenti sociali, psicologi) come prevenire l’abbandono scolastico precoce, una delle cause della povertà che, in Italia, ha un’incidenza molto vasta. In questa occasione, per permettere ai genitori di partecipare ma anche per ascoltare la voce dei bambini, è stato organizzato un workshop specifico dedicato ai bambini sul tema della povertà e dell’esclusione sociale.

Infine, avendo deciso che il lavoro preparatorio di quest’anno avrebbe coinvolto – e fatto nascere – una delegazione completamente rinnovata, il CILAP EAPN Italia ha tenuto il 13 settembre, una riunione congiunta tra la delegazione “vecchia” e la “nuova”: per un corretto passaggio del testimone e un’occasione di formazione tra pari.

Gli incontri hanno coinvolto circa 120 persone.

Cosa dicono i giovani

Da ciò che è emerso durante gli incontri si può dire che i giovani hanno le idee chiare in merito alla realtà che vivono nel nostro Paese e alle troppe possibilità negate per chiunque, non solo per loro.

I giovani che hanno partecipato agli incontri hanno discusso a lungo su varie questioni, in primo luogo una rivalutazione dei diritti, ossia di quei diritti che sebbene siano stati sanciti dalla Costituzione e dalle leggi nazionali ed europee, sono tutt’ora negati a molti, e che, per alcuni non è stato mai fatto alcun tentativo di realizzazione.

Forte è la sofferenza che porta questa contraddizione, da ciò che la nostra nazione è sulla carta e ciò che è la realtà della vita delle persone tutte. Una negazione dei diritti che riguarda anche il mondo animale e la qualità dell’ambiente in cui viviamo. Forte è anche la preoccupazione per ciò che lasceremo ai futuri cittadini. A proposito di questo i giovani intervistati sentono il peso della responsabilità dei futuri possibili molto più di quanto sembrano sentire le attuali classi dirigenti che governano a livello locale e nazionale il nostro Paese, l’ultima speranza forse viene dalla UE, che mostra ancora qualche segno di buon senso.

Alla base del pieno godimento dei diritti e della realizzazione dei doveri vi è la possibilità per qualsiasi ceto sociale, senza distinzione, di poter vivere in maniera dignitosa. E’ questo un diritto che passa inevitabilmente dalle lealtà verso il proprio dovere.

Bisognerebbe poi lavorare sui territori attivandone la valorizzazione in modo da permettere una spinta educativa imprenditoriale ed auto-imprenditoriale tale da rimuovere gli ostacoli ad una formazione professionale ed umana, ad un lavoro che permetta l’indipendenza economica e che risponda alle vocazioni personali, facendo breccia sulle personali attitudini di ciascuno.

In questo senso lo stato dovrebbe essere più collaborativo, non solo combattendo lo sfruttamento lavorativo dei giovani ed eliminando gli elementi di precarietà, ma offrendo opportunità quali formazione, corsi, agevolazioni, incentivi e concorsi, adeguandosi ai tessuti produttivi ed imprenditoriali senza però sdegnare la ricerca e la cultura.

Qui entra in gioco come sono usati nel nostro paese le risorse dei Fondi Strutturali. Da una recente ricerca pubblicata sul sito www.lavoce.info a cura del prof. Perotti (professore di Economia presso l’Università Bocconi di Milano) e del prof. Teoldi (Research Assistant a lavoce.info) emerge una dura realtà. Nel periodo 2007-2012, un totale di quasi 700.000 progetti sono stati finanziati in Italia con il FSE, per una spesa totale di 13,5 miliardi. La gran parte di questi fondi sono stati usati per finanziare circa 500.000 progetti di formazione di vario tipo, per una spesa totale di 7,4 miliardi. Ma non si sa se i tanti corsi abbiano prodotto un qualche effetto positivo. Secondo i ragazzi che hanno partecipato ai dibattiti, alcuni dei quali hanno frequentato o frequentano ora questi corsi, il risultato è pari allo zero: né loro né i loro amici o conoscenti hanno mai trovato uno sbocco professionale dignitoso e duraturo grazie a questi corsi.

Il sostegno all’autonomia non è solo dato dal supporto economico, ma anche dal livello di godimento dei diritti, l’accesso ai servizi, il diritto all’informazione, all’istruzione (Università, formazione professionale e non), anche attraverso una facilitazione di accesso alle informazioni attraverso il web, con siti web istituzionali più accessibili e di facile utilizzo.

Tutti (giovani e non) dovrebbero poter sfruttare al meglio le proprie conoscenze ed abilità, al servizio del proprio sviluppo, dello sviluppo del territorio e del Paese.

Si dovrebbe poter esprimere la propria opinione sulle decisioni delle città o,per esempio, sulle scelte sulla gestione degli spazi pubblici, in modo da poter progettare/costruire insieme gli spazi di vita soprattutto a livello locale. Ad esempio i giovani dovrebbero poter partecipare alla progettazione del ripristino delle strutture in disuso per renderle qualcosa di utile per tutti.

In tutti i gruppi è forte la richiesta di opportunità reali per i giovani di poter esprimere sia i propri bisogni, problematiche, esigenze sia i propri interessi e passioni attraverso l’arte, la cultura. In questo campo, sarebbe opportuno creare e finanziare adeguatamente più punti di incontro per i giovani in cui vi sia la possibilità di aggregazione sociale (Centri socio-educativi e ricreativi dove sia possibile incontrarsi per attività artistiche/culturali, formazione, educazione civica (diritti/doveri), scambio di saperi). Luoghi in cui sia davvero possibile la con-divisione, e dove sia possibile “mettere in comune” esperienze tra e nelle generazioni. Luoghi in cui si faccia educazione per contrastare il “controllo sociale” inteso come induzione all’azione da parte dei mass media e di internet, anche attraverso una educazione informatica.

Dovrebbero essere date ai giovani opportunità concrete di partecipazione alla vita cittadina attraverso lavori di utilità sociale in spazi pubblici che diano la possibilità di crediti per lavoro e per gli studi e, nello stesso tempo, dare loro la possibilità di un’entrata economica.

Il Paese dovrebbe essere più attento, meno indifferente, più rispettoso della libertà di pensiero, fonte di crescita e sviluppo. Dovrebbe condurre una reale lotta alle mafie e alla illegalità diffusa che da troppo tempo incide sui livelli di giustizia sociale a danno dei più poveri.

Si apre poi il capitolo “studi” ed istruzione. I partecipanti riconoscono che la scuola di tutti i livelli, anche se sembra diventata la “cenerentola” delle istituzioni pubbliche e sottoposta a riforme continue che ne impediscono il corretto svolgimento, è di primaria importanza. Rimane il fatto che l’accesso alla scuola di qualità – anche pubblica – non è garantito a tutti: “chi è povero non ha le stesse opportunità di chi non lo è. Frequentare una scuola pubblica dei quartieri “alti” è un passaporto per un’istruzione di qualità. Frequentare una scuola pubblica dei quartieri svantaggiati è come non andarci, se pensiamo al nostro futuro”.

Di cosa hanno bisogno, cosa chiedono:

  1. Scuola di qualità per tutti = più risorse per la scuola e l’università, edifici scolastici non fatiscenti. Gli insegnanti e tutti coloro che lavorano nella scuola o nell’università si sentono oggi “in trincea”, senza sostegni, senza risorse per la formazione continua. Più risorse per consentire ai docenti di fare il proprio lavoro, più risorse e un piano adeguato per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. Più sostegno, anche finanziario, alle famiglie povere che non riescono a mandare i figli a scuola e sono costrette a mandarli a lavorare ai semafori, pulendo i vetri delle macchine, per esempio. “Ma che può fare un povero insegnante, da solo, davanti alla devastazione culturale che deve affrontare?”
  2. Riavviare lo sviluppo dei territori. La crisi ha segnato duramente i nostri territori: moltissimi lavori sono andati persi, di nuovi non se ne vedono. Il livello di disoccupazione giovanile è a livelli altissimi e solo grazie alla famiglia si riesce ad andare avanti. Abbiamo bisogno di risorse e programmazione per una politica industriale compatibile con la tradizione e con la sostenibilità ambientale che dia lavoro dignitoso ai giovani ma anche ai tanti padri e madri che lo hanno perduto. “Certo, qui da noi ci sono ottimi prodotti alimentari … ma oggi non si parla d’altro! Non è che un territorio vive solo di esportazione di formaggio. Abbiamo bisogno di un’economia competitiva, di industrie rispettose dell’ambiente e che aiutino a far crescere la nostra zona dando lavoro”.
  3. Corsi di formazione professionale che garantiscano uno sbocco professionale adeguato e, dunque, organizzati secondo i criteri di crescita stabiliti per ogni singolo territorio. “Mi sembra che i corsi professionali abbiano creato un sacco di lavori … per i docenti e per i valutatori!”
  4. Partecipazione. Le politiche giovanili sono fatte dagli adulti, senza ascoltarci. Vogliamo una partecipazione strutturata attraverso le nostre associazioni così da poter collaborare e “dire la nostra” in tutte le politiche che ci riguardano da vicino. “Deve essere riconosciuto il nostro diritto a dire la nostra”.
  5. Cultura. Luoghi dove possiamo incontrarci, discutere tra noi e con gli adulti. Luoghi per passare il tempo insieme, per fare musica, teatro … “Oggi tutto sembra sgretolato. Manca solidarietà, manca un obiettivo comune. Dobbiamo avere spazi che non ci isolino più di quanto non lo siamo già. Per ricostruire il tessuto sociale della nostra città”.
  6. Sostegno all’autonomia. A differenza di altri paesi europei i giovani italiani sono soli, aiutati soltanto dalla famiglia, quando possibile. Per sostenere i ragazzi delle ragazze verso il loro percorso di autonomia serve un reddito integrativo a quello da lavoro, visto che i nostri lavori sono precari e mal pagati. Serve un sostegno alla casa e uno agli studi. “Questo è un paese povero abitato da tante persone ricche che non sanno cosa sia la solidarietà. Serve una adeguata ridistribuzione delle risorse”.
  7. Lotta alla criminalità organizzata. Le mafie, la criminalità organizzata, sono importanti “datori di lavoro” per tanti giovani poveri che, molto spesso ancora minorenni, si trovano impigliati in una realtà senza sbocchi, se non la galera e il crimine. Sconfiggere la criminalità organizzata vuol dire riuscire a dare un futuro ai tanti giovani che, oggi, non ce l’hanno. “Ci stiamo giocando una generazione per mancanza di lavoro e futuro. Sono decenni che ci giochiamo tanti ragazzi dandoli in mano alla mafia”.
  8. Ricostruire la fiducia nelle istituzioni. E’ un percorso difficile. “Tanti, troppi rappresentanti delle nostre istituzioni finiscono sui giornali per aver approfittato del loro ruolo per arricchirsi alle nostre spalle”.
  9. Avere fiducia in noi stessi, nelle nostre capacità. “Hanno fatto di tutto per farci credere che non siamo buoni a nulla, per farci credere che la vita fosse un televisore acceso o partecipare al “Grande Fratello”. Siamo noi a doverci far avanti, perché siamo noi i veri protagonisti del nostro futuro”.
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